Ficca il naso

domenica 22 aprile 2018

Macchine da guerra bizzarre





La guerra è stata questione di uomini per millenni. Dalla galea all'arte ossidionale, era la forza data da masse di uomini agguerriti a portare un generale alla vittoria. Una fortezza non era nulla se non difesa da una guarnigione altrettanto valida. Gli armamenti erano funzionali a rendere il milite capace di infliggere il più gran danno possibile e sopravvivere. Ma non è sempre stato così: inventori, ingegneri, generali capaci hanno affiancato al contributo fisico macchine da guerra dalle funzionialità diverse come variegato poteva essere un conflitto. Se molte sono diventate classici conosciuti da tutti, vi sono state anche alcune stravaganze (spesso non così efficaci) partorite dalla mente di uomini fantasiosi quanto avventati. Ecco dunque cinque esempi tra le macchine da guerra più bizzarre.

Il Cannone di Orban


Per abbattere le possenti mura di Costantinopoli, i turchi di Maometto II avevano bisogno di qualcosa di più di un semplice cannone. La città, ultimo bastione dell'ormai defunto impero romano d'Oriente, aveva resistito per oltre mille anni a qualsiasi tentativo di assedio. La soluzione si presentò un giorno alla porta del sultano sotto forma di un uomo, un cristiano ungherese di nome Orban. L'artigliere aveva già offerto i suoi servigi al basileus, ma rifiutato perché troppo caro, aveva deciso di rivolgersi allora al sultano. Ottenuti i fondi necessari, l'ungherese creò un vero e proprio mostro: Basilica. Quest'arma era lunga più di 8 metri, aveva una bocca di fuoco dal diametro di 760 mm e le sue pareti erano di bronzo spesso 200 mm. Per trasportarla, smontata, erano necessari 60 buoi e per farlo funzionare servivano 400 serventi. Si dice che al momento di collaudare l'arma, il sultano avvisò i contadini entro diverse miglia che avrebbero udito un terrificante boato e di non spaventarsi. Fiducioso nelle sue artiglierie e nel suo esercito, Maometto II assediò dunque Costantinopoli. Basilica ebbe un effetto psicologico tremendo, per la sua mole immensa e il terribile boato che produceva. I suoi effetti pratici però erano mitigati dalla cadenza di fuoco: non più di 7 colpi al giorno, per le lunghe operazioni di ricarica e per permettere al bronzo di raffreddarsi, onde evitare avarie. L'aver portato gli operai della fonderia dalla quale era uscita sul campo per ripararla di volta in volta non servì a prevenire che il gigantesco cannone esplose, uccidendo anche il suo ambizioso e geniale creatore Orban.

Il Hwacha



L'Estremo Oriente detiene il primato per moltissime invenzioni, dalla polvere da sparo alla stampa. E proprio qui nascono i primi lanciarazzi multipli, molti secoli prima della loro introduzione in Europa. Derivante dallo Huo Che, un'arma inventata e usata in Cina durante il periodo della dinastia Han, lo Hwacha è un carretto a due ruote che trasporta un quadro di legno dotato di molti fori. Adottato dai coreani per difendersi dalle invasioni giapponesi fra il 1592 e il 1598, questa macchina da guerra era in grado di sparare fino a 200 singijeon alla volta. Con questo termine si indica un tipo di proiettili che può essere a sua volta suddiviso in tre tipi: grande, medio, piccolo. Un singjeon grande è un razzo lungo mezzo metro, lanciabile da un'arma individuale o uno hwacha, in grado di percorrere un km prima di esplodere sul bersaglio. Uno medio invece è lungo solo 13 cm e in grado di percorrere non più di 150 m, ma mantiene una forza esplosiva non trascurabile. Quelli piccoli invece sono semplici frecce, scagliate però dalla propulsione fornita da una piccola carica di polvere ad essa attaccata. 

Le Ruote Assassine


Se foste ungheresi, il nome Eger vi sarebbe familiare. Nel 1552 infatti un'armata di 35.000 turchi assediò questo castello nel nord dell'Ungheria, difeso dai 2.000 uomini di Istvàn Dobò. Dopo 39 giorni di sanguinosi assalti e combattimenti, i turchi levarono l'assedio, decimati e demoralizzati. Ci furono vari fattori che portarono alla disfatta, fra i quali l'ingegno di un ufficiale, Gergely Bornemissza. La sua idea era semplice ma tremendamente efficace: riempire alcune ruote di mulino ad acqua con barili di polvere da sparo, zolfo e pece, accenderle e farle rotolare verso il campo nemico, più in basso rispetto al castello. Questi rudimentali e primitivi missili incendiari si rivelarono molto efficienti: alle tremende esplosioni seguirono incendi devastanti che provocarono numerose perdite e intaccarono il morale degli assedianti, che infine dovettero desistere. 

Il Gancio d'Assedio


Il gancio si è dimostrato essere una sorta di must per gli assedi a piazzeforti, sia in funzione difensiva che offensiva. In epoca medievale si parla di lunghe pertiche uncinate adatte a ribaltare le arieti portate avanti dal nemico, i cui colpi venivano attutiti tramite semplici balle di paglia tenute dietro il portone. Ma la fantasia dei genieri non si fermava a ciò: i ganci potevano tranciare le scale, impedire ai pontali delle torri d'assedio di calare sulle merlature, addirittura di acciuffare dei nobili nemici per la collottola e trascinarli oltre le merlature per un ricco riscatto! I romani sfruttarono il gancio,  di cui Polibio ci descrive lucidamente l'utilizzo, chiamato falx muralis, anche per funzioni offensive. Cesare nel De Bello Gallico lo descrive infatti quale un lungo tronco tornito, alla cui estremità si trovavano due falci trasversali affilate. I soldati all'altro capo, tramite un sistema di corde, facevano ruotare il macchinario, che grattava via la calce atta a tenere insieme mattoni e mura, o per danneggiare le palizzate. Non sappiamo davvero quanto fosse efficace un tale "spazzolino" d'assedio, però potremmo pensare che essere citato dallo stesso Cesare possa essere un indizio per la sua effettiva utilità.

Lo Cheirosiphon


Tutti conoscono, almeno per sentito dire, della potenza distruttiva del fuoco greco, che dagli studi recenti si ritiene fosse una miscela di pece, salnitro, zolfo, petrolio, nafta, calce viva. Sebbene di solito fosse stato utilizzato come una sorta di granata incendiaria, rinchiuso in grandi otri di pelle o  in dei semplici contenitori di terracotta, i bizantini si spinsero ancora più avanti nell'utilizzo di questa temibile arma da guerra, creando degli antesignani lanciafiamme chiamati siphon. Si descrivono modelli portatili, utilizzati nel 1400, ma è l'uso principale sembra essere nel combattimento navale tra dromoni per appiccare fuoco agli scafi avversari (considerando che tra il calafataggio dei comenti, le velature e le sartie il risultato risultava devastante, come nell'assedio di Costantinopoli del 717).
Narra Tucidide anche dell'utilizzo di un gigantesco lanciafiamme da parte dei beoti durante l'assedio di Delio nel 424 a.c. consistente in un tronco svuotato, montato all'interno di una passerella coperta dotata di ruote, che dopo essere stato spinto nei pressi delle mura, veniva agganciata alla sua estremità un calderone di metallo. Esso pare contenesse una miscela simile al fuoco greco (non la stessa e altrettanto efficace), che tramite un mantice sprigionava un getto di fiamme contro mura e palizzate. Non conosciamo esattamente gli effetti e l'efficacia di tale armamento, ma sappiamo che gli ateniesi attestati a Delio capitolarono dopo 16 giorni di duro assedio.

Regogolo Boemetto

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